Le prime frasi sono impacciate. Non sappiamo da dove iniziare. Cerco di farlo sorridere e mentre parla, inserisco qualche battuta, spingendolo a scherzare con me. Mi segue e continua a raccontarsi. Dall'inizio. Dalla data di nascita. Non tralascia nulla.
E' un piacere ascoltare. Paolo ha voglia di condividere, di farmi partecipe della sua vita, del suo passato. Ha lo humor giusto. Un po' ci prendiamo in giro e ci piace. Dopo ore di chiacchiere confessa:
- Non so perché ho voglia di dirti tutte queste cose. Non mi capita mai - commenta lui.
- Non ti sei accorto? Si è creata una piccola complicità.
- Hai ragione.
Andiamo avanti per ore.
- Con le parole non sempre riesco a esprimermi come vorrei - aggiunge Paolo - sento che vorrei comunicare qualcosa di più e non ci riesco.
- A volte basta guardarsi negli occhi, non sempre servono le parole - gli rispondo.
Con questa affermazione l'ho stupito. Paolo è molto simile a me. Non si vergogna delle sue fragilità: "Ho pianto guardando quel video e per non farmi vedere mi sono chiuso nel bagno dell'ufficio".
E' vero, sincero. Quando gli spiego di aver incontrato persone aride, lui annuisce e aggiunge: "Anch'io".
Paolo sente, non calcola.Prima dei saluti, ci tiene a invitarmi alla mostra di un pittore americano e mi fa vedere la foto di un dipinto. Impressionista. Fantastico.
Vive, non medita.
Si emoziona, non riflette.
Si mette in gioco, non si nasconde.
- Va bene, ti accompagno. Io vorrei vedere McCurry - preciso
- Anch'io. Sei andata alla mostra di Salgado? - continua lui
- Sì, emozionante.
- E' piaciuto tantissimo pure a me.
Adesso, Paolo è a Parigi con gli amici. Mi ha chiesto di andare con lui, ma ho rifiutato: "La prossima volta". La sera, dopo cena, mi scrive per raccontarmi la giornata. Tutto quello che ha visto e fatto. Chattiamo fino a notte fonda. Non so se diventerà un amico o qualcosa di più. Per il momento, dice di essere felice a Parigi. E sono tanto contenta per lui.