“L’unico oggetto che può avere dei sogni è il libro” ha detto Ennio Flaiano. Per i patiti della lettura il romanzo rappresenta un momento di svago o di relax, in spiaggia come in viaggio. Pochi immaginano che si tratta anche di un farmaco per la psiche. A quanto pare tuffarsi tra le righe della narrativa ha effetti psicologici benefici (ci consola e ci coccola) al punto da aumentare le nostre capacità empatiche e influenzare i comportamenti sociali e relazionali. Forse non avevano torto i nostri nonni quando consideravano i classici della letteratura veri e propri maestri di vita.
Il connubio di causa ed effetto tra narrativa e benefici psicologici - probabilmente già noto a talpe di biblioteca e habitué di libreria - non è più soltanto un’idea comune, ma un concetto dimostrato scientificamente dai ricercatori dell’Università di Toronto, come riposta il New Scientist. Dopo una lunga serie di test di laboratorio la conclusione dei ricercatori parla chiaro: siamo così rapiti dal volume di fantasia da immedesimarci nei personaggi o nelle situazioni. E così, ci lasciamo coinvolgere dagli eventi inventati, trasportando poi nella vita reale ciò che abbiamo imparato, ciò che ci ha turbati, feriti o divertiti.
Possiamo essere d’accordo con le idee di una pagina o possiamo non digerirle, ci schieriamo coi fatti giusti e detestiamo quelli sfortunati. La nostra capacità empatica si alimenta di nuovi concetti mentre la mente impara che esiste qualcosa di diverso da ciò che credevamo un attimo prima. Questa capacità di elaborazione e trasferimento si manifesta nella lettura del romanzo e non con quella dei saggi. Quasi quasi un romanzo è meglio delle vitamine, o del fosforo, per nutrire il nostro cervello.
05 luglio, 2008
La cura del romanzo
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