21 marzo, 2017

Lui è troppo super-dotato. Siamo anatomicamente incompatibili

«Sei il mio arcobaleno»«Ti abbraccerei, anche se tu fossi un cactus e io un palloncino». Andrea si presenta così. Manda disegnini d'amore, frasi tenere, cuoricini e una valanga di fiori (reali). Conosciuto su un'app di incontri, è carino, 50enne, mente sull'età e sulla laurea (questo ancora non lo so), scrive in modo perfetto (niente «xke" o strafalcioni grammaticali) e vuole condividere la sua giornata. Dopo due settimane di chat e telefonate scatta il primo appuntamento. Ci piacciamo. Al primo incontro non mi tocca perché cerca «una relazione seria». Al terzo mi parla delle sue caratteristiche fisiche. E di certe suoi attributi "importanti": «E’ grande, molto grande» mi spiega. Panico. Perché io sono piccola e minuta, e queste dimensioni così grandi mi spaventano un po’. Mi viene in mente un romanzo che ho letto anni fa: Doctor sex di T Coraghessan Boyle , basato sulla vita di Alfred Kinsey. Per chi non lo sapesse, Alfred Kinsey è stato il primo sessuologo della storia, il primo ad aver studiato il sesso in maniera scientifica. Si dice che lo abbia fatto perché aveva misure extra-large con le quale non riusciva ad avere rapporti con la moglie.

Mi chiedo: «Davvero posso scartare Andrea per questioni di centimetri?». No. Lui è così attento. Un vero principe azzurro. Sfodera la frase magica: «Voglio prendermi cura di te». Mi convince. Al quinto appuntamento vado a casa sua. E mi dice: «Ti ho liberato una parte dell'armadio e un ripiano in bagno per le tue cose». Ma come? Non abbiamo ancora fatto sesso? Dai. Penso che sia un po' avventato e mi commuovo.

A questo punto manca soltanto il test a letto. Come va? Un dolore immenso. Andrea è un super-dotato da manuale: Rocco Siffredi lo scritturerebbe al volo per i porno. «Ahi!» esclamo quando proprio non trattengo la sofferenza. Ma lo conforto: «Non preoccupati, ho bisogno di allenamento». Sono convinta di poter superare l'ostacolo. Perché sono una romantica, perché voglio da lui amore e non solo sesso. Voglio bermi tutte le sue frasi da pazzo-di-me. Che illusa, vero? La verità è chiara a entrambi: siamo anatomicamente incompatibili. Quello che dovrebbe essere un momento di piacere si trasforma in un incubo, i secondi diventano minuti, i minuti ore. Alla fine ci riusciamo, arriviamo al culmine, ma non è da 10 e lode, né per lui né per me.


L'idillio finisce dopo due settimane. Andrea si è stancato: in un nanosecondo toglie la maschera da principe azzurro, diventando un estraneo. «Che cosa hai? Sei diverso» gli chiedo. La sua risposta è banale: «Questioni di lavoro». E mentre racconta menzogne in maniera spudorata, scopro tutte le sue bugie passate, una dietro l'altra. Lo mollo, anche se capisco che ormai sono innamorata. Non ho bisogno di motivazioni per chiudere, anche se lui le offre dicendo che si è allontanato perché ho provato a psicanalizzarlo. Sì, ciaone. Andrea ha giocato con me e adesso ha cambiato schema. Sull’app di incontri dove ci siamo matchati continua la sua caccia e becca una mia amica che lo riconosce. E mentre mia madre mi ripete: «Ti sei salvata da uno psicopatico», non riesco a distogliere la mente da Alfred Kinsey, da quello scienziato che per risolvere una sua caratteristica di dimensioni ha spinto tutta l'umanità a investigare sul sesso. Come Kinsey vorrei dare un contributo scientifico alla causa, invece mi limito a raccontare la mia storia.

20 giugno, 2015

Quel vestito del 1994 griffato Moschino


Nel 1994 non avevo molti soldi per lo shopping
. Da studentessa universitaria risparmiavo su tutto per poter comprare qualche abito carino con i saldi. Al tempo vivevo a Roma e spesso visitavo un bel negozietto dalle parti di Piazza Bologna. Il proprietario mi conosceva, mi vedeva spesso curiosare tra le stampelle, e ogni tanto acquistavo qualche capo.

Nell'estate del '94 avevo messo gli occhi su un abitino di Moschino, color rosso fuoco. Sexy, molto sexy. Corto, molto corto. Da indossare senza reggiseno. Costava troppo per le mie tasche e speravo di trovarlo a prezzo scontato a luglio. E così è stato. Taglia 38. Troppo piccolo per una donna di corporatura normale. Perfetto per un fuscello come me.

Quel vestito è stato l'affare della mia vita. A ottobre di quell'anno lo stilista Franco Moschino è morto. Quel vestito è una delle sue ultime creazioni, per cui l'ho tenuto sempre come un cimelio da trattare con i guanti di velluto. L'ho indossato poche volte e in occasioni speciali. L'ho portato sempre in lavanderia. E oggi, a distanza di 20 anni, è ancora perfetto, mettibile e mi sta d'incanto (per fortuna non ho cambiato taglia).

L'ho sfoggiato la settimana scorsa a un aperitivo, facendo un figurone. Nessuno ha pensato che quel vestito ha 4 lustri addosso. Quando ho detto alle amiche che l'abito è del 1994, mi hanno risposto: "Davvero? Sembra nuovissimo". Le cose belle e di qualità non hanno tempo.

19 giugno, 2015

Arriva la notiziona e mi comporto da bimba


Il telefono squilla
. E' il boss dei boss che mi comunica una bella notizia. Anzi, una fantastica notizia! Quasi non ci credo. Sono così felice che mi metto a urlargli al telefono e pesto i piedi come una ragazzina. Sono alle stelle! Non riesco a star ferma.

Chiedo scusa al boss per il mio comportamento poco professionale, ma non ci posso fare nulla: la notiziona è inaspettata e non sto più nella pelle. Una reazione esagerata? Può darsi. Non tanto quanto quella della mamma che appena viene a sapere si mette a piangere.

Dopo la telefonata vado a parlare con la capa che mi spiega i dettagli della cosa. Sono ancora agitata, sudo come in una sauna e sorrido, sorrido, sorrido. Ho la paresi del sorriso stampata in viso. Ho ancora voglia di saltare e pestare i piedi. Che sensazione paradisiaca!

L'effetto della notizia - una gioia infinita - dura per ore. Non posso fare a meno di pensare che la vita è imprevedibile, ha sempre qualche sorpresa da proporci. Sta a noi aspettare con fiducia che le meraviglie accadano. Perché accadono, prima o poi.

18 giugno, 2015

Gli amici che non ci sono più


L'anno scorso ho perso due amici
. Coetanei stroncati da malori improvvisi. Sono mancati in un attimo, forse non se ne sono neanche accorti o almeno spero che non abbiano sofferto. Due ragazzi, giovani, pieni di vita, di voglia di fare e di speranza per il futuro. La notizia della loro morte mi ha sconvolta. I saluti in una fredda camera mortuaria mi hanno scioccata. Ma com'è possibile? Come si può morire da giovani per un infarto o un ictus?

Anche se questi amici non ci sono più, rimangono nella memoria. E non solo. Sono ancora miei amici di Facebook e Twitter. Ho il loro numero di telefono e la loro foto è su Whatsapp, con lo stato inalterato da molti mesi. Insomma, i canali social con loro sono rimasti aperti e questo mi dà una bella sensazione, come se avessi ancora la possibilità di contattarli, di mandare messaggi. Non ci sono, ma ci sono. Ho reso l'idea, vero?

16 giugno, 2015

Abitudine o amore?


Scegliere non è mai facile
. Soprattutto quando una decisione porta a un cambiamento drastico, come quando ci si pone davanti a un bivio e bisogna decidere quale direzione prendere. Le strade sono due: abitudine o amore. Da un lato, il tranquillo benessere di una vita che si conosce, quello dell'abitudine. Senza sorprese, è vero, ma appagante. Perché se abbiamo impostato la nostra esistenza in quel modo, significa che ci andava bene. Se non addirittura a genio. Dall'altro, la novità di un amore, una persona che entra nella nostra vita - magari a gamba tesa - e ci scombussola il tran tran, il solito vecchio iter al quale siamo affezionati.

Il più delle volte la scelta tra abitudine e amore diventa un dilemma esistenziale. I monotoni non hanno dubbi: optano per la consuetudine, perché è il percorso più semplice. Gli impavidi neanche ci pensano: puntano sull'avventura, adorano l'imprevisto e si lasciano trasportare dal vento verso nuovi lidi.

Soltanto in pochi casi la decisione è fonte di continue riflessioni, ragionamenti su pro e contro, domande a cui è difficile dare una risposta a priori, senza aver sperimentato la diversità. Per buttarsi ci vuole coraggio e consapevolezza dei rischi. L'intuito aiuta, ma non dà la soluzione. Allora, come si risolve la questione? Il punto principale su cui ragionare sono i sentimenti. Si parte da lì. Bisogna chiedersi: quanto sono profondi? Quanto sono reali? Ma la vera domanda da rivolgere a noi stessi è quella che Don Edo continua a ripetere durante la messa quando parla di amore: "Tu saresti disposto a morire al posto della persona che ami?". La risposta a questo interrogativo indica la direzione da prendere.
L'amore non è un'abitudine, un impegno o un debito. L'amore non è quello che ascoltiamo in canzoni romantiche, o vediamo nei film. Semplicemente l'amore è. (Paulo Coelho)

10 giugno, 2015

Sbolognare i non-amici di Facebook


Su Facebook ogni tanto ricevo richieste di collegamento da amici di amici
. Il mio profilo non è pubblico - salvo qualche link di notizie - e faccio fatica ad accettare chi non conosco. A volte, elimino il candidato senza neanche rifletterci o guardare la foto. A volte, di rado, lo aggiungo. Nel secondo caso, quando do l'ok, non so per quale motivo, scatta subito la chat. "Ciao, grazie per avermi accettato" è il messaggio standard che ricevo dalla new-entry. Rispondo per cortesia: "Ciao, grazie per avermi chiesto l'amicizia. Buona giornata". Fin qui tutto bene.

Il bello arriva adesso. Se la comunicazione si interrompe a questo livello, l'amicizia si protrae. Se invece il nuovo amico insiste con domande del genere, "come stai?", "che fai di bello?", "stai lavorando?", mi scoccio e non rispondo. Conseguenza: il nuovo amico mi cancella. Con mio grande sollievo, devo confessare. Alè, un altro fuori dalle scatole.  E penso: "Ma davvero un Pinco Pallino qualunque crede di potermi broccolare via Fb in maniera così banale? Che tristezza di persone c'è in giro?". Aiuto!  

27 maggio, 2015

Indimenticabile Rocky Horror Show

Rob Fowler nella parte di Frank-N-Furter

Esperienza fantastica - La seconda volta al musical Rocky Horror Show (è stato in scena a Milano al Teatro della Luna) è anche più eccitante della prima. Perché sai che cosa fare nel momento giusto (lo spettacolo è interattivo), di conseguenza il divertimento aumenta. Al Teatro della Luna sono arrivata preparata con Fede, Franci e Giorgio. Tutti avevamo al collo un boa di piume rosse. Giorgio non era molto d'accordo a sfoggiare l'accessorio rosso, ma con un po' di insistenza si è lasciato convincere. Anche lui è stato al gioco.

La pistola ad acqua per schizzare i vicini di poltrona durante la scena della pioggia è stata utilissima. E il lancio di coriandoli una vera chicca. Quante risate! Il giornale da mettere in testa, poi, è servito pure alla fine dello show.

Usciti dal teatro pioveva di brutto, per cui abbiamo usato i quotidiani per ripararci dalla pioggia nel raggiungere l'auto. Per la verità, i giornali non sono serviti a molto. Sotto il diluvio non c'è nulla che tenga. Inoltre, non proteggono dalle pozzanghere. Infatti, mentre mi dirigevo verso la macchina, ho messo entrambe i piedi in una pozzanghera che pareva bassa... pareva... Sorpresa! Mi sono ritrovata con  l'acqua fino a sopra le caviglie. In pratica, ero a mollo. Ho urlato alle ragazze dietro di me: "Non seguitemi, guardate dove sono finita!". E qui siamo scoppiati di nuovo a ridere, come pazzi (Giorgio era avanti). Ho riso fino alla macchina, con le lacrime. Non riuscivo a smettere. E ho pensato: i piedi a mollo, le ballerine da buttare e i pantaloni da strizzare. Una degna chiusura di serata alla Rocky Horror.

25 maggio, 2015

La mia prima gara da runner: la StraSingle


Il divertimento era preventivato
. Eh, sì. Mi sono davvero divertita come una pazza a correre la StraSingle a Milano (domenica 17 maggio). Ho zompettato per 5 km senza mai fermarmi. Senza allenamento. E sono fiera di essere arrivata al traguardo.

Non nasco runner, ma tennista. Fin da piccola sono stata abituata agli scatti, a schizzare come un fulmine su brevissime distanze, per poi prendere fiato. La resistenza - ossia lo sforzo per troppi minuti senza sosta - non è nel dna dei miei muscoli. Pazienza. Nessun problema. Alla fine 5 km non sono una lunghezza rilevante. Basta rallentare il passo e si va avanti senza problemi.

E' stata Veru a convincermi a cimentarmi nella StraSingle. Anzi, mi ha proprio iscritta lei (devo ancora darle i soldi). Poi, ha convinto anche Franci e Fede. "Dai, facciamola tutte insieme" ha insistito Veru. Detto, fatto. Tutte e quattro sulla linea di partenza. 

Allo start, noi girls ci siamo messe a correre in fila. E per tutto il percorso non abbiamo fatto altro che commentare chi ci sorpassava e chi si faceva sorpassare. Risate a go go. Poi, l'arrivo. Il commento sarcastico dello speaker che ci ha chiamato le "shopping girls con le unghie rosse" (abbiamo ringraziato, ovviamente). Un sorso d'acqua. Un brindisi con lo spumantino offerto agli atleti. E via a casa. 

Fede non voleva partecipare. Credeva di non riuscire. Invece, è andata meglio di me: lei e Veru potevano chiudere con un tempo migliore, invece, hanno deciso di non lasciarmi indietro. "Ragazze, se volete andare avanti, fate pure - ho detto sui 3 km -. Mi fermo un attimo". La risposta delle due moschettiere è stata immediata: "Ma scherzi? Non ti lasciamo. Rallentiamo". Insomma, un'altra dimostrazione di affetto delle ragazze nei miei confronti. Della serie: nessuna rimane indietro. Un'ulteriore conferma che non sbagliamo a chiamarci moschettiere. Tutte per una e una per tutte.