29 novembre, 2014

La bellezza interiore di Paolo

Conoscere Paolo è stato un miracolo. Ancora non so come ho potuto imbattermi in lui. E' troppo bello e dalla faccia sembra un mascalzone. Ma è più bello dentro che fuori. Sto per scoprirlo. Vinco la paura iniziale, quella della vocina nella testa: "Scappa subito". Invece, rimango a parlare con lui. E' un uomo poco strutturato, s'intuisce. Lui stesso lo ammette. Classe 1974, un po' immaturo, ma ci sta.

Le prime frasi sono impacciate. Non sappiamo da dove iniziare. Cerco di farlo sorridere e mentre parla, inserisco qualche battuta, spingendolo a scherzare con me. Mi segue e continua a raccontarsi. Dall'inizio. Dalla data di nascita. Non tralascia nulla.

E' un piacere ascoltare. Paolo ha voglia di condividere, di farmi partecipe della sua vita, del suo passato. Ha lo humor giusto. Un po' ci prendiamo in giro e ci piace. Dopo ore di chiacchiere confessa:

- Non so perché ho voglia di dirti tutte queste cose. Non mi capita mai - commenta lui.
- Non ti sei accorto? Si è creata una piccola complicità.
- Hai ragione.

Andiamo avanti per ore.

- Con le parole non sempre riesco a esprimermi come vorrei - aggiunge Paolo - sento che vorrei comunicare qualcosa di più e non ci riesco.
- A volte basta guardarsi negli occhi, non sempre servono le parole - gli rispondo.

Con questa affermazione l'ho stupito. Paolo è molto simile a me. Non si vergogna delle sue fragilità: "Ho pianto guardando quel video e per non farmi vedere mi sono chiuso nel bagno dell'ufficio".

E' vero, sincero. Quando gli spiego di aver incontrato persone aride, lui annuisce e aggiunge: "Anch'io".
Paolo sente, non calcola.
Vive, non medita.
Si emoziona, non riflette.
Si mette in gioco, non si nasconde.
Prima dei saluti, ci tiene a invitarmi alla mostra di un pittore americano e mi fa vedere la foto di un dipinto. Impressionista. Fantastico.

- Va bene, ti accompagno. Io vorrei vedere McCurry  - preciso
- Anch'io. Sei andata alla mostra di Salgado? - continua lui
- Sì, emozionante.
- E' piaciuto tantissimo pure a me.

Adesso, Paolo è a Parigi con gli amici. Mi ha chiesto di andare con lui, ma ho rifiutato: "La prossima volta". La sera, dopo cena, mi scrive per raccontarmi la giornata. Tutto quello che ha visto e fatto. Chattiamo fino a notte fonda. Non so se diventerà un amico o qualcosa di più. Per il momento, dice di essere felice a Parigi. E sono tanto contenta per lui.

Non vuoi la mia amicizia? Pace

I veri sentimenti sono merce rara. Non è facile amare o voler bene a qualcuno. Ma quando ti capita di provare qualcosa, non vuoi rinunciarci. Non puoi avere tutto? Non importa. Le persone care non si perdono. E' questo che ho pensato quando è finita la storia d'amore, con la persona a cui ho perdonato l'imperdonabile.

Non si può stare insieme? Ok. Siamo incompatibili? Ok. Ma perché non essere amici? Da parte mia rimane l'affetto. Gli ho sempre detto: "Se hai bisogno, ci sono, perché comunque ti voglio bene". Mi sono preoccupata per lui. Non ho pensato a tornarci insieme, soprattutto dopo il disastroso weekend alle terme (un incubo). Non ho cercato di ricucire la relazione. Semplicemente, non ho voluto rinunciare alla presenza di una persona cara nella mia vita.

Alla fine, però, ci ho dovuto rinunciare. Lui mi ha trattata male. Nessun rispetto, nonostante abbia detto di volermi bene (falso). Sono rimasta in buoni rapporti con gli altri ex. Addirittura, Paolo, quello piantato all'altare, mi ha fatto il trasloco dopo la nostra separazione. Con Marco - anche lui mi ha mancato di rispetto - ho ripreso il dialogo. I tre fidanzati storici, Paolo compreso, si sono fatti un viaggio per venire al funerale di mio padre. Perché con questo l'amicizia risulta impossibile?

Lui non ha voglia di essere mio amico e non mendico la sua presenza. Mi ha fatto arrabbiare quando mi ha scritto "Non bisogna rimane ancorati a una storia finita". Ancorati? Veramente c'è un'altra persona nella mia vita. Non sono ancorata a nulla. Inoltre, è stato lui a tornare da me, due volte.

Ho sempre offerto soltanto amicizia e disponibilità. Ho cercato di capire e di aiutare, nel mio piccolo. Mi è mancata la comunicazione con lui, questo è vero, non la relazione. Relazione... vabbeh, lasciamo perdere il discorso: rischio di finire in un ginepraio.

Lui è complicato. Non è facile stargli accanto. Eppure, non l'ho mai allontanato. Pensa che lo giudico, quando invece dovrebbe concentrarsi sulla sua vita solitaria e senza affetti. "Io non ti giudico" ha precisato lui. "Ma anche se mi giudichi, che differenza fa? Nessuna. Non cambia nulla". Il punto è un altro. In ogni caso, a lui non interessa la mia amicizia? Pace. Avrà altre amiche che gli vogliono bene. Anche se ci credo poco.

28 novembre, 2014

Ho fatto la posta a Keanu Reeves

Non puoi andare a Los Angeles e perderti l'occasione di incontrare Keanu Reeves, l'uomo più bello del mondo. E così, quando sono stata a LA, ho deciso che non potevo partire senza averlo visto di persona. Ho pensato: basta passare sotto casa sua (vedi foto), sulla collina di Hollywood, e con un po' di fortuna c'inciampo. Magari. Ho visto Keanu di sfuggita, per caso. Ero a piedi su Doheny Drive, a Beverly Hills, e lui sfrecciava sulla sua romboante Norton. Facile da riconoscere. Non lui, la moto.

L'ultimo giorno a Los Angeles, non essendo riuscita a beccare Keanu da nessuna parte (speravo nel party di Tarantino), ho deciso di fare una cosa folle: l'ho aspettato sotto casa. La sua villa (ora in vendita) è proprio lungo il viale. E il portone (con citofono a combinazione, per cui se non sai il codice, non suoni) dà sulla strada. Ho parcheggiato l'auto vicino al portone. Proprio lì, dov'è piazzato un cartello "No parking".

Gli agenti di sorveglianza sono passati diverse volte a controllarmi, ma non si sono mai avvicinati. Sono scesa dall'auto per farmi osservare bene dalle guardie. Magrina, carina, vestita by Italian Style. Hanno capito che sono innocua e mi hanno lasciata stare in quel punto di "No parking".

Ho atteso 4 ore. Ne ho approfittato per aggiornare il diario di viaggio. E poi, finalmente, Keanu si è palesato. E' tornato a casa sulla sua moto. E' arrivato alle mie spalle, da dietro l'auto, e sapendo che in quel punto non si può parcheggiare, si è affiancato al veicolo per vedere dentro. Che cosa è successo? Ci siamo guardati negli occhi a distanza ravvicinata. Non so, 30 centimetri? Separati soltanto dal vetro. Uno shock. Lui è sembrato basito.

Non si è fermato. E' andato oltre, fino al garage, e ha temporeggiato con il telecomando. Sono scesa dall'auto e ho pensato: Se si volta verso di me, mi avvicino. Non si è voltato e allora sono andata via.

Il giorno dopo, prima del volo, sono passata alla libreria di Sunset Strip a prendere un romanzo per Keanu. Ho comprato Invisible di Paul Auster. Il libro è bellissimo - l'ho letto - e il titolo è tutto un programma. Mi rappresenta. Sono invisibile. Sul libro, nella pagina della dedica, ho scritto qualcosa del genere che mi dispiaceva di avergli fatto la posta sotto casa, che volevo soltanto incontrarlo almeno una volta nella vita, che stavo per ritornare in Italia e gli auguravo tutte le cose belle del mondo. Ho inserito il mio biglietto da visita e ho infilato il libro sotto il cancello. Chissà se lo ha letto.

25 novembre, 2014

Quando Bret Easton Ellis mi ha scioccata

Bret Easton Ellis
Parlo con Daniele dell'ultimo libro di Andrea De Carlo, Cuore primitivo, ricordando i primi titoli dello scrittore. "Sai che Treno di panna, da ragazzino, mi ha fatto venire voglia di scrivere?" mi racconta Daniele. "Anche a me è piaciuto tanto - rispondo -. L'ho letto ai tempi del liceo".

Tornando indietro con la memoria, ai primi romanzi che mi hanno formata, mi viene in mente Meno di zero di Bret Easton Ellis, preso in mano a 18 anni (appena pubblicato in Italia). La narrazione di Bret è stata una rivelazione. Non tanto per la durezza di personaggi e situazioni (droga, sesso e perversioni dei rampolli americani anni Ottanta), ma per lo stile. Quel libro mi fatto innamorare del minimalismo.

Nel 2005 Ellis è venuto in Italia a presentare Lunar Park. Non mi sono lasciata sfuggire l'occasione di andare a conoscerlo. L'incontro con l'autore è stato uno show. Risate fino alle lacrime. Sembrava una puntata di Zelig. "Sarà strafatto", ho pensato. Da non credere. Un uomo così divertente che scrive romanzi tanto cupi e crudi.

Ma il bello è venuto a fine presentazione. Mi sono avvicinata a Bret con la mia copia da autografare. In fila, in mezzo a tanta gente. Arrivato il mio turno, lui mi ha guardata e mi ha chiesto di fargli lo spelling del mio nome. Due volte. Ok. Ha scritto qualcosa sulla seconda pagina e ha firmato. A questo punto, in un attimo, ha tirato fuori dalla tasca dei pantaloni una minimacchina fotografica digitale e mi ha scattato una foto, con il flash.

Sono rimasta pietrificata. Perché ha voluto una mia immagine? Panico. Ho preso la mia copia e sono scappata. Sul libro ha scritto:
To (il mio nome corretto)
Best one
Bret 
Da allora, non ho più letto nulla di Ellis. Ho il terrore che mi abbia inserita in qualche romanzo, o racconto, e non voglio scoprire che personalità mi ha affibbiato.

24 novembre, 2014

Van Gogh vale sempre la pena

Pareri discordanti. La mostra di Van Gogh a Milano (a Palazzo Reale) fa discutere. Sono più i delusi dall'esposizione che i contenti dopo la visita. Chi si aspettava il Van Gogh del Museo di Amsterdam, storce il muso. Pochi i grandi quadri, quelli di successo. Troppi i disegni. La motivazione: il tema della mostra si rifa a quello dell'Expo, la Terra, di conseguenza il percorso è costellato di opere con il carboncino che ritraggono contadini e lavori nei campi. Argomentazione un po' debole, ma tant'è.

Chi si aspettava un'esplosione di colori, stile botti di Capodanno, si è dovuto accontentare di qualche petardo, giusto per avere un po' di rumore. Eppure, nonostante la bassa offerta di capolavori, la mostra merita una sbirciata. Basta trovare un unico quadro in grado di regalare una forte emozione e il prezzo del biglietto è ripagato. Ad affermarlo è chi al Museo Van Gogh di Amsterdam ci ha passato diverse ore.

Se dovessi scegliere la mia tela preferita, tra quelle esposte a Palazzo Reale, non avrei dubbi. Il postino: il Ritratto di Joseph Roulin (nella foto). Di questo dipinto amo i fiori (adoro le margherite). Mi stupiscono. Un ritratto con uno sfondo azzurro pieno di fiori. Come se su questa persona i fiori venissero lanciati al suo passaggio. Non è un matrimonio, ma una consegna di lettere. 

Mi piacciono i fiori del dipinto perché comunicano allegria, ottimismo e speranza. Si tratta di un'interpretazione personale. L'audio-guida non dice nulla di simile. Ognuno di noi vede quello che vuole vedere. Lo considero quasi un presagio di buon augurio (lasciamo perdere i "Nidi di scricciolo").

Insomma, il mio bilancio della mostra è positivo. Non vi ho convinti? Allora aggiungo che tra le opere in esposizione sono presenti anche il famoso autoritratto e il Campo di grano con covoni. Forse possono bastare per decidere di dare un'occhiata. 


23 novembre, 2014

L'appuntamento al buio a sorpresa

Raffaella m'invita a un aperitivo con i suoi amici e mi dà appuntamento di fronte a una gelateria. "Vieni, saremo in tanti" dice. Non ho impegni per la serata e accetto. Dovevo andare al flash mob Dinner in the dark o Cena con me (nella foto), ma ho un po' di febbre e non me la sento di stare seduta all'aperto per molte ore.

Al punto di ritrovo c'è la sorpresa. L'aperitivo è una scusa. Raffaella vuole presentarmi due suoi amici single della mia età. Nel locale siamo io, lei (fidanzata, ma senza il compagno) e i due uomini. Cavoli, un appuntamento al buio a sorpresa. Appena mi vedono i due sgranano gli occhi. Mi fissano come se mi volessero saltare addosso. Si aspettavano d'incontrare una donna carina, ma è evidente che ho superato le loro aspettative. Peccato che nessuno dei due sia carino. A confronto i miei ex sembrano modelli di Prada.

Ci sediamo al bar. La conversazione non è male. Uno di loro mi offre il primo drink, l'altro mi offre il secondo. Oddio, si sono messi in competizione. Ringrazio e continuo a chiacchierare. Parlo anche di argomenti scomodi: voglio vedere come reagiscono. Loro mi sorridono e non commentano. Bene.

Nel mezzo di un discorso mi alzo per andare fuori a fumare. Raffa mi accompagna per farmi l'interrogatorio lontano dalle orecchie maschili.

- Allora, ti piace uno dei due? - mi chiede.
- Ma stai scherzando? Secondo te sono attraenti?
- Sono scapoli d'oro. Non ti rendi conto. Uno possiede mezza Milano e tu sei il suo tipo.
- Può possedere anche tutta Milano. Non mi piace.

Inizio a sentirmi fuori posto. L'aperitivo finisce prima delle 22 e ho il tempo di raggiungere Chiara al flash mob cena con me. "Perché non sono andata lì? Fanculo alla febbre". I due mi accompagnano fino all'evento, in Galleria Vittorio Emanuele, dove si svolge la serata. Trovo Chiara e mi fermo con lei, mentre i pretendenti, delusi, vanno via. Con l'amica e le mille persone che conosco lì mi diverto come una pazza. Sono un'imbucata. Non ho neanche l'abbigliamento giusto (c'è un dresscode) ma i partecipanti del flash mob non ci fanno caso e mi accolgono volentieri, offrendomi cibo e vino.

Quando saluto la comitiva di cenaconme sono euforica. Ringrazio per l'ospitalità e prendo il tram contenta. Ho capito che sto svoltando pagina. Finora mi sono preoccupata più per Luca che per me stessa. Adesso, si cambia registro. Io vengo prima di tutti.

21 novembre, 2014

Alessandro, il mio angelo custode

Carlotta non se ne fa una ragione. Il forte legame di affetto che c'è tra me e Alessandro per lei rimane un mistero. Una grande amicizia tra un uomo e una donna, che si rinnova quotidianamente, senza attrazione fisica, può esistere? La risposta è sì. "Io sarei gelosa di un rapporto del genere" commenta l'amica. L'affermazione di Carlotta non mi stupisce. Ale è un uomo bellissimo e corteggiatissimo. Uno di quei maschi per i quali le donne perdono la testa. Il fascino è soltanto una delle sue doti. Ha carattere, è intelligente, si trova a suo agio in ogni ambiente, possiede una parlantina frizzante e due labbra carnose da paura.

Eppure, tra me e Alessandro non c'è desiderio sessuale. Mai un bacio, se non sulla guancia. Puro "volersi bene". Il rapporto è simile a quello tra fratello e sorella. Anzi, lo paragono a quello tra gemelli. Chattiamo dalla mattina alla sera, ci sentiamo al telefono tutti i giorni (in genere al mattino) e quando è possibile ci vediamo al bar per bere un caffè insieme e chiacchierare.

L'affetto si è creato in poco tempo, giorno per giorno, alimentato dalle confidenze. So tutto di lui e lui sa tutto di me. Conosco i dettagli della sua vita (lui i miei). Mi piace chiedergli del lavoro, degli appuntamenti con i clienti, dei suoi progetti imprenditoriali e dei desideri per il futuro. Tra noi non esistono segreti.

La complicità è la vera colla che ci lega. Senza complicità, non potremmo prenderci in giro e ironizzare sui nostri problemi. Forse è proprio il saper ridere di noi stessi il motivo del contatto continuo.  Le battute tra i discorsi seri rappresentano il sale della conversazione. Se passa un pomeriggio senza un messaggio, o uno squillo, ci sembra strano. "Sai che oggi mi sei mancata?" mi dice. "Anche tu".

Non ho gli strumenti per descrivere questo legame. Non provo neanche a inquadrarlo in una definizione. Mi ritengo fortunata a viverlo. Perché se mi viene il magone, so quale numero comporre. Perché quando ho bisogno dei messaggi di "Buongiorno" e "Buonanotte", Ale arriva in soccorso. Perché mi consiglia e mi sta vicino come un angelo custode. Ecco, Ale è il mio angelo custode in carne e ossa. E' arrivato al momento giusto e spero che rimanga sempre accanto a me.

19 novembre, 2014

Il bello e il brutto del party vip


Locale di lusso. Lista chiusa
. Non entri se non spuntano il tuo nome sul tablet. Dresscode: elegantissimo. Sono un po' a disagio all'ingresso. Donne in abito lungo e sandali. Iperingioiellate. Uomini con occhiali da sole (sono le 22) e cappotto con stola di pelliccia (?). Tolgo il cappottino leggero e vengo squadrata. Una radiografia veloce. Il mio vestitino sparkly è perfetto. Sono carina. All'altezza della location. Di conseguenza scatta la richiesta: "Se mi lasci la tua mail, ti invito ad altri eventi" mi dice la ragazza-immagine. Rispondo: "Ma certo".

Il locale è pieno di gente. Molti vip (che non riconosco, a parte uno) e tante starlette. Mi rincuora sapere che sono lì con Chiara che conosce tante persone. E così, supero la ritrosia iniziale, quella che mi fa pensare "perché non sono rimasta a casa a leggere un libro?".

Chiara mi presenta i suoi amici. Simpatici. Si chiacchiera del più e del meno. Qualche battuta per sciogliere il ghiaccio e la serata prende una piega divertente. Si balla con il drink in mano, in mezzo alla ressa perché il locale è pienissimo. Si scherza. C'è persino chi ride alle mie spiritosaggini. Finalmente un po' di leggerezza. Sto bene. Mi sento a mio agio, anche se quello non è il mio ambiente.

Cerco di non pensare ai miei casini. Ho bisogno di svago, di fare nuove amicizie, di lasciarmi il passato alle spalle. Ho l'angoscia nell'anima, ma sto cercando di reagire. Mi piace essere corteggiata, a distanza. Non permetto a nessuno di avvicinarsi.

Il tempo scorre sereno. Sorrido, ballo e tutto mi sembra più bello. Prendo pure contatti utili per il lavoro. Questi eventi sono la manna per il networking. Mi arrabbio quando mi accorgo di aver finito i biglietti da visita (proprio adesso che mi servono).

Mi sforzo di non pensare. Me lo impongo. "Non pensare, non pensare, non pensare... a Luca". Uff! "Luca...". Cavoli, non mi abbandona mai. La mia ossessione preferita. Mandarlo a fanculo non mi è bastato per cancellarlo dal cuore. Magari fosse così facile.

Francesco è l'unico che riesce a distrarmi un po'. Scopro che Francesco è il soggetto giusto da intervistare per un progetto che sto preparando. Lo bombardo di domande. Che sagoma! Gli dico: "Ti citerò nel mio progetto, ovviamente senza cognome".

E' tardi. E' ora di tornare a casa. Salto sul taxi e sorrido. Ho bevuto due bicchieri di vino bianco (per la modica cifra di 15 euro a calice). Riordino le idee. Sono concentrata sui flash della serata. Credo di essere tranquilla. Ma le lacrime sono in agguato. Arrivo a casa. Mi strucco. Mi metto sotto il piumino ed eccole lì, le bastarde. "Piangi, sfogati" mi ripeto. Mi addormento con gli occhi bagnati. Male, molto male.

18 novembre, 2014

Voglio essere un cuore intelligente

La verità si nasconde nei dettagli. Soltanto se impari a unire i puntini arrivi a raggiungere una forma di conoscenza e di consapevolezza che punta alla verità. E sottolineo "che punta", non ho detto che la conquista. Spesso il senso di tutto si trova nelle piccole cose, in quei tasselli che non tutti riescono a cogliere, senza dei quali il puzzle risulta incompleto.

Quando ho iniziato a unire i puntini? Non ricordo. Ma da un discorso dello scrittore Alessandro D'Avenia mi si è accesa una lampadina. Se sono in grado di fare questo esercizio, il merito è della letteratura. Di tutti i romanzi che ho letto, da quando ero ragazzina fino ad oggi.

I libri mi hanno aperto gli occhi su realtà molto diverse dalla mia, mi hanno mostrato mondi sconosciuti, culture lontane, modi di pensare misteriosi, miserie, dolori, gioie e pulsioni inimmaginabili con il semplice gioco di fantasia o con il sogno.

La narrativa è stata la mia maestra di vita (lo è tuttora). "La letteratura cambia la vita e serve a salvarci" dice D'Avenia che prende come esempio la figura del principe Myskin (da "L'idiota" di Dostoevskij). Per tutti Myskin è un idiota: nessuno riesce a vedere la sua profondità, il suo desiderio di andare oltre la normale accettazione del senso comune. La gente non lo capisce e di conseguenza ne ha paura.

"La letteratura serve a elevarci verso il sacro" sottolinea D'Avenia. Va oltre la psicologia, oltre la ragione e il sentimento. Ci aiuta a comprendere la realtà che si trova nei particolari, a raggiungere la "perspicacia affettiva". Soltanto un cuore intelligente si eleva a questo livello. Quel cuore intelligente che re Salomone chiedeva in dono al Divino, considerandolo il bene più prezioso del mondo. Una sorta di chiave per decifrare gli enigmi della vita.

Come scrive Alain Finkielkraut in "Un cuore intelligente": "La letteratura è una forma di meditazione che non offre garanzie, ma senza la quale ci sarebbe preclusa la grazia di un cuore intelligente".

Grazie mamma per avermi messo un libro in mano da piccola e avermi trasmesso l'amore per la narrativa.

13 novembre, 2014

Sonetto dell'amore totale

 di Vinicius de Moraes (Rio, 1951)

Ti amo tanto, amore mio... non canti
il cuore umano con maggiore verità...
Ti amo come amico e come amante
in una sempre diversa realtà.

Ti amo per affinità, di un quieto amore prestante
e ti amo al di là, presente nella nostalgia.
Ti amo, infine, con grande libertà
per l'eternità e a ogni istante. 

Ti amo come un animale, semplicemente
di un amore senza mistero e senza virtù
con un desiderio massiccio e permanente. 

E amandoti così, molto e sempre
un giorno nel tuo corpo all'improvviso
morirò per aver amato più di quanto ho potuto. 

Questo è quello che cerco. Un amore senza tempo (al di là, presente nella nostalgia), in cui passato, presente e futuro sono la stessa cosa. Un amore in cui tutto è il contrario di tutto (libertà, eternità e ogni istante). Un amore in cui gli aggettivi "quieto" e "prestante" non rappresentano un ossimoro. Non mi accontento di meno.

Sempre di Vinicius del Moraes è molto bello il Sonetto della felicità.

11 novembre, 2014

L'ombra nera nell'anima

 Forse sono una persona troppo semplice per cogliere le sfumature della psicologia più profonda e tecnica. Ma quando ho sentito parlare di "ombra nera" dentro le persone ho voluto capirne di più. Di cosa si tratta? Perché non l'avverto? Una donna "trasparente" (che non vuol dire stupida) come me non ha lati oscuri. O almeno credo. E così, mi faccio spiegare da un esperto. La domanda è semplice: che cos'è l'ombra nera nelle persone?

Lo studioso ricorre a Freud e inizia con la definizione esatta: "Si tratta del cosiddetto oblio della coscienza - afferma lo psicologo -: un processo psicologico inconscio che porta una persona a crearsi due o più coscienze. Si verifica quando una persona sviluppa un comportamento morboso verso determinate situazioni e tende a ricrearle per provare le stesse emozioni. Da non confondere con la doppia personalità che è una cosa diversa".

E fin qui ci siamo. Poi, che cosa succede? "Per un lungo periodo le due coscienze non si vedono e non si conoscono - precisa l'esperto - ma in un certo momento si scontrano e la persona va in crisi. La coscienza pulita scopre quella nascosta e scatta la crisi. A questo punto, due sono le strade: o si cerca di risolvere il problema, facendo i conti con ciò che c'è da mettere a posto o si ritorna nell'oblio. L'ombra può sparire con il giusto aiuto, basta volerlo".

Adesso capisco veramente quando lui mi diceva "porto la maschera". Il comportamento da finto innamorato, l'entusiasmo iniziale alle stelle, il nomignolo amoroso dato troppo presto, le coccole dopo avermi lasciata, la faccia felice e simpatica al lavoro... "Sono atteggiamenti strutturati per mandare la coscienza nascosta sempre più nell'oblio" commenta l'esperto.

Mia madre me lo aveva detto: "Lascialo perdere, ti porterà giù con lui. Vuoi precipitare nel burrone?". Beh, non sono precipitata: non è successo perché lui è scappato. Eppure, ero disposta a cadere giù con lui. Avrei fatto di tutto per tirarlo su, verso la luce.

09 novembre, 2014

L'analfabeta sentimentale non ha speranze


Una luce in fondo al tunnel. E' questo che ho pensato quando l'analfabeta sentimentale ha iniziato a fare i conti con la sua vita apparentemente prestigiosa, ma povera e arida. Riempita esclusivamente dal suo bel lavoro da boss e dal piacere solitario dopo cena. Aveva cominciato a pensare di cambiare. Ha cercato di compiere il primo passo. Due lacrime e poi è ritornato indietro. E' ritornato ad essere quello di prima: un robot. Senza speranza.

Ero così felice per lui, quando ho visto uno spiraglio di calore nel suo cuore. Ho pensato: "Adesso inizia a provare, invece di riflettere". Ho sbagliato. Dopo 24 ore, la magia era sfumata e il robot aveva perso calore. L'afflato era volato via come un soffio di vento.

Non è colpa sua. Non ci arriva. Non ha idea da dove si parte per provare sentimenti. Non ha gli strumenti per decodificare ciò che non è razionale. Mi fa quasi pena.

E così, io, che al contrario di lui ho una marea di sentimenti dentro il cuore, sono diventata la pazza. "Non è sano quello che provi per me, il tuo amore è esagerato, non può essere reale e non è giusto" mi ha detto. In un attimo, sono diventata l'errore della natura. Quella che ama e soffre senza motivo. In maniera sproporzionata e aliena.

Mi spiace deluderti, caro analfabeta sentimentale. Io sono quella normale e tu il malato (uno psicologo no? Ti do il numero di mia sorella psicologa, non la paghi neanche). Non sono disposta a rinunciare ad essere me stessa. Vera, sincera e sensibile solo perché non ho paura di dire che amo e mi sono innamorata in un nanosecondo. E se devo soffrire per essere me stessa e non portare la maschera come invece fai tu, sono disposta a pagarne il prezzo. Non ho paura di piangere e disperarmi. Il dolore non mi spaventa. Fa parte della vita. Lo accetto.

Nel mio cuore non ci sei soltanto tu, caro analfabeta, anche se ti amo come nessun altro, ma un'infinità di persone che mi amano ricambiate, come tu non sei in grado di fare o di accogliere. Ma tutto questo tu non capirai mai. E scusami se le mie frasi sono un po' zoppicanti: le lacrime mi offuscano la vista mentre scrivo. Buona solitudine.


08 novembre, 2014

La mia irrazionalità sentimentale

 "Non sai essere razionale nelle relazioni con gli altri - mi dice mia madre -: tu senti, provi, usi il cuore e non la testa. In questo sei rimasta bambina". La mamma ha ragione. Nella vita professionale sono un bulldozer: non mi tiro mai indietro, ho il coraggio di osare dove gli altri non osano e mi sono guadagnata la stima dei colleghi e del capo. Negli affari privati spengo i neuroni e "sento". Le emozioni mi arrivano amplificate e mi travolgono, quelle belle e quelle brutte. Non solo le mie emozioni, anche quelle degli altri. Le vivo sulla pelle. Niente mi scivola addosso. Se un amico sta male, mi preoccupo, avvertendo un pugno allo stomaco. Se qualcuno della mia famiglia ha un problema, diventa un mio problema. Sono l'esatto opposto dell'analfabeta sentimentale. Eh, sì, mamma ha ragione: non sono cresciuta. Forse per questo motivo ho sempre scelto uomini che mi amavano più di quanto li amavo io. Fino a quando ho rotto lo schema.

"Sentire come fai tu non è un difetto ma una virtù - precisa Ale -. Tu sei speciale perché senti, provi ed elabori. Ti accorgi dei dettagli che gli altri non vedono. Unire i puntini... me lo hai insegnato tu. Non sei irrazionale, ma senti tutto e così ti accorgi di tutto. Non ti sfugge nulla. Io ci sarò sempre per te. Senza di te non ce l'avrei mai fatta". Ale è la mia spalla. L'ho aiutato in un momento in cui ero io ad aver bisogno di aiuto e da allora siamo diventati amici inseparabili.  Dargli una mano mi ha fatto stare bene. Invece di piangere per il mio dolore, mi sono concentrata su di lui e gli ho dato il supporto, il conforto e l'affetto di cui aveva bisogno.

Mi piace aiutare gli altri. Con le amiche sono la prima a correre in soccorso. Ho portato Giulia a casa in spalla quando stava a pezzi, mentre le altre ragazze sono rimaste a una festa. Ho cercato di tenere su Anna quando non riusciva a uscire dalla depressione. E Michy, ogni volta che ha una crisi, sa che le basta chiamarmi o venirmi a trovare, senza preavviso e a qualunque ora del giorno e della notte. Io ci sono sempre. "Quello che trasmetti è unico" mi sento dire spesso.

Il problema è che mentre sono brava con gli altri, per la mia spiccata empatia, non so aiutare me stessa nei momenti difficili. Capisco le situazioni prima che si verifichino. Per esempio, sapevo che lui mi avrebbe lasciata, ore prima di sentire le sue parole di addio. Eppure, non sono stata in grado di reagire.

Emozioni e sentimenti sono le basi del mio Dna. La ragione fatica a entrare nella sfera del cuore. Sono incapace di calcoli e strategie. Non ci posso fare nulla. Cambiare significa rinunciare alla mia vera identità, diventare un'altra. Non lo posso fare perché poi non mi riconoscerei più davanti allo specchio. "Ci siamo noi - mi confortano le girls - insieme siamo forti". Grazie ragazze per la vostra presenza. Per quanto io possa soffrire, non sarò mai sola.

07 novembre, 2014

Vi presento l'analfabeta sentimentale


Non avevo mai sentito parlare di un "analfabeta sentimentale", fino a quando non me lo sono ritrovato davanti
. Credevo che non esistesse. Invece, è lì, dietro l'angolo. Individuarlo non è facile, perché parla di amore, felicità e sofferenza come se conoscesse bene gli argomenti, mentre non sa di cosa si tratta. Pensa che tutto il mondo della sfera interiore sia riducibile a una formuletta matematica, inventata dalla nostra creatività per farci stare bene o male.

L'analfabeta sentimentale non usa il cuore, ma il cervello. Anche se la parola cuore è tra quelle che pronuncia ogni giorno (magari per impressionare il capo). Analizza i sentimenti e non sa trovarne un motivo. Un motivo! Le emozioni gli sono estranee e si meraviglia, rimane scioccato, quando qualcuno soffre per cose che lui considera inesistenti, inspiegabili o impossibili. Spiegare i sentimenti con la ragione è come spiegare Dio con la mente. O hai fede o non hai fede.

L'analfabeta sentimentale non si preoccupa degli altri. Non conosce il senso di colpa o il senso del rispetto. Si bea delle sue certezze. Tanto, quando fa del male, gli basta dire "mi dispiace" e ha risolto.

L'analfabeta sentimentale ti prende per il culo alla grande. Prima ti fa credere di essere speciale e poi ti butta via come spazzatura. La spiegazione? Una parola che non gli è piaciuta, un comportamento che non condivide, una decisione diversa.
  
L'analfabeta sentimentale non è in grado di piangere. Quando il pianto è la debolezza che ci rende più umani e ci fa sentire vivi. In pratica, è un robot e non se ne rende conto. Vi ricordate il film "L'uomo bicentenario"? L'androide dice all'umana: "E' crudele che tu possa piangere e io no". 

L'analfabeta sentimentale cerca l'amore, immaginando che sia un punto nell'universo a cui tendere, e non un trasporto che coinvolge le emozioni. Emozioni? Ah, già, non ha idea di che cosa siano. L'amore si prova, si fa, non si accende premendo un bottone. 

L'analfabeta sentimentale è convinto che la verità si trovi in quello che dicono gli altri. Un pensiero profondo è una verità. A questo punto serve un applauso. 

L'analfabeta sentimentale mi fa ascoltare un discorso su un concetto: gli uomini non sono liberi, ma vivono come in Matrix, schiavi delle convenzioni e del sistema, incapaci di ribellarsi e di elevarsi, come invece fa Neo "l'anomalia". Sinceramente, un essere umano non può essere un'anomalia, perché non sarebbe umano, per definizione. Un essere umano è affascinante proprio per le sue fragilità e la sua capacità di emozionarsi anche con le piccole cose. Ma l'analfabeta sentimentale non si emoziona con niente.

L'analfabeta sentimentale vuole una famiglia, senza capire che per formare una famiglia ci vogliono sacrificio e compromesso. Non ama nessuno, neanche se stesso. Allora, come pensa di amare qualcuno? Nel suo cuore non c'è spazio neanche per uno spillo, quando nel cuore di ogni persona normale c'è sempre posto per tanti affetti: famiglia, parenti, amici. E toh, ci metto pure gli animali.


Non avevo capito chi era quando l'ho incontrato. Non l'ho etichettato come analfabeta sentimentale e ho pure sofferto per lui. Quando si è allontanato, mi ha fatto un favore. Quasi quasi lo ringrazio.  

03 novembre, 2014

Steve McCurry e l'ultima pellicola Kodak

La tecnologia avanza e le macchine fotografiche digitali rimpiazzano quelle con pellicola, azzerando la richiesta di rullini. Mi viene in mente una scena del film "I ponti di Madison County". Il protagonista del libro/film, Robert Kincaid, fotografo del National Geographic, mette i rullini in frigorifero per evitare che si rovinino con il caldo. Questo non succede con le schede di memoria digitali.

E così, con il digitale che domina il mercato, nel 2010 la Kodak decide di non produrre più la pellicola Kodachrome, ispiratrice di una canzone di Paul Simon ("Mamma, non portarmi via il mio Kodachrome").

L'azienda giapponese comunica la notizia a Steve McCurry: niente più rullini. E Steve, che ha fatto la sua fortuna di fotografo con quell'oggetto da inserire nella macchina, fa una richiesta all'industria: "Va bene, ma voglio avere l'ultimo rullino prodotto per scattare qualcosa di memorabile".

Steve è stato accontentato: l'ultimo rullino gli è stato consegnato con una specie di minicerimonia e lui lo ha utilizzato per lo più nella sua città, New York. Come? "Ho voluto fare un omaggio alla Kodachrome cogliendo immagini significative del nostro tempo, ma anche cariche di colore" spiega McCurry. Diversi i soggetti: dall'attore Robert De Niro (suo amico e vicino di casa) ai pendolari della Central Station.