21 gennaio, 2014

Perché non ho sposato Paolo? Accidenti!

Nel 2005 Paolo mi ha chiesto di sposarlo. Lo ha fatto quando ha capito che mi stavo allontanando da lui e in quel momento gli ho risposto: "Ok!". Ma i miei motivi per arrivare all'altare non erano quelli giusti. Di fatto, il rapporto si era raffreddato. Non ero innamorata come all'inizio (cinque anni prima). Eppure, ho pensato che nonostante tutto Paolo era un buon partito e sarebbe stato un ottimo padre. Senza dimenticare che era anche un bell'uomo, uno di quei maschi che le donne si girano a guardare. Questo basta? No. Alla fine, mancando la convinzione e un sentimento abbastanza forte da parte mia per quel passo, mi sono tirata indietro 20 giorni prima del fatidico "sì, lo voglio". Insomma, il matrimonio è saltato e ci siamo lasciati.

Nel 2005 convivevo con Paolo. Avevamo comprato un appartamento nel centro della città. Un trilocale, ultimo piano, senza ascensore, con i soffitti a volta. Trilocale che abbiamo ristrutturato secondo il nostro gusto. In realtà, secondo il mio gusto... (non avevamo porte interne, neanche quella del bagno). La vita scorreva tranquilla e lui era una perla di uomo. Mi adorava, mi capiva, era totalmente concentrato su di me. Discussioni? Non ne ricordo. Forse qualcuna, ma non vere liti. Paolo non mancava mai di dimostrare il suo amore, la sua generosità, la sua dedizione alla nostra unione. Non ha mai cercato di cambiarmi. Gli andavo bene così come ero. Mia sorella lo chiamava "il santo". La complicità che avevamo creato era totale. A volte, non c'era neanche bisogno di parlare: ci capivamo al volo. Ogni sera Paolo mi chiedeva che cosa volevo mangiare per cena e poi mi preparava il pasto. Decidevo io il menù.

In questo quadretto idilliaco esisteva un unico problema: Paolo era un Peter Pan. Ogni responsabilità la delegava a me. Dovevo gestire ogni cosa, dovevo stare attenta a ogni cosa e questo alla lunga ha logorato il rapporto. Io ero l'adulto e lui il "bimbo". A un certo punto non ho retto. Tutto il peso di organizzazione e responsabilità "familiare" era sulle mie spalle. Un peso gravoso da sostenere per tutta la vita e forse non ero pronta per quel genere di onere. Per il resto, la nostra era una relazione perfetta, come nelle favole che terminano con le parole "e vissero felici e contenti".

Negli anni non mi sono mai pentita di non averlo sposato. Fino ad oggi. Oggi, sono più matura, più vecchia. Ho visto cose che non immaginavo e con l'ultima esperienza amorosa fallimentare, che mi ha devastata, ho rivalutato quello che avevo nel 2005. In questi giorni mi chiedo spesso: "Perché non ho sposato Paolo?". Era un gioiello di uomo. Preziosissimo. Come ho fatto a essere così stupida e cieca? Nessuno mi ha mai apprezzata quanto lui. Nessuno mi ha amata incondizionatamente quanto lui. Nessuno mi ha capita (e diciamo anche assecondata) quanto lui. Nessuno mi è stato dietro quanto lui. Nessuno si è preoccupato di me quanto lui.

Tre anni fa, al telefono (lo sento almeno una volta l'anno) mi ha detto una frase bellissima: "Se torni da me, ricominciamo". A sentire quelle parole sono rimasta scioccata, ma ho capito che i suoi sentimenti erano ancora profondi, neanche il tempo era riuscito a intaccarli. Poi, Paolo si è trovato un'altra e la cosa è finita lì. Insomma, sono doppiamente stupida, perché me lo sono fatta sfuggire ben due volte. A questo punto, non mi rimane che riflettere sul più grosso errore della mia vita. "Perché non ho sposato Paolo? Accidenti!".

20 gennaio, 2014

Il Capodanno postumo

Non sono stata molto fortunata con gli ultimi due Capodanni. Nel 2012/2013 ho passato l'ultima notte dell'anno a letto per una congestione, dalle ore 21 in poi. Niente cotechino con lenticchie e niente cin cin. Nell'edizione appena festeggiata (il passaggio dal 2013 al 2014) non mi è andata meglio. Perché dopo i botti e gli auguri ho trascorso il tempo a piangere mentre lavavo i piatti, con il rimmel che colava sul lavello (patemi d'amore). Ora, un Capodanno storto può capitare, ma due di seguito sono un po' troppi. Quindi ho deciso di cambiare le cose. Ho deciso che mi meritavo un Capodanno decente, anche se postumo, con tanto di cena, ballo e brindisi di mezzanotte.

E così ho attuato il mio piano. Ho scoperto che anche un mio amico aveva passato un Capodanno da incubo e gli ho fatto la proposta: "Che ne dici se c'inventiamo un Capodanno postumo, a gennaio? Ci vestiamo bene, prenotiamo un ristorante per la cena e poi andiamo a ballare? Ci meritiamo un vero Capodanno divertente". L'idea è piaciuta al mio amico e l'abbiamo realizzata. Per l'occasione mi sono messa in tiro. Ho sfoggiato lo smalto rosso e un vestito carino (lui era in giacca). Bandite le mutande rosse perché secondo il mio amico portano una "gran sfiga" e noi non vogliamo attirare la cattiva sorte. E così, ci siamo regalati questo momento di svago.

Devo dire che è andata bene. La serata ci ha risollevato il morale e ci ha dato un marcia in più per affrontare dolori e avversità (che al momento sembrano prevalere nelle nostre vite). Certo, non è la stessa cosa che passare il Capodanno con la persona che si ama, quella che vorresti avere sempre accanto. Ma ci si può accontentare. Consiglio a tutte le persone che hanno passato un brutto Capodanno, di riprovarci. Non è mai troppo tardi. Ne vale la pena.

17 gennaio, 2014

Bilancio (amaro) di una storia finita

Ricordi. Ecco che cosa rimane di una relazione finita. Buoni o cattivi? Dipende. C'è chi tende a ricordare i momenti felici e c'è chi tiene a mente le sofferenze. Non funziona per tutti allo stesso modo. Il mio bilancio dell'ultima storia è negativo, ma non ne faccio una colpa al mio ex. Piuttosto, mi batto il petto e recito il "mea culpa". A un certo punto, mi sono dovuta rendere conto che bisognava dare un taglio e ho preso l'accetta. Dopo 10 mesi insieme, in cui ci siamo lasciati più di dieci volte, mi sono arresa all'evidenza: non lo sopportavo più. Pace. Chiuso.

I campanelli d'allarme hanno cominciato a suonare all'inizio della relazione, quasi subito, già dopo la "scazzottata" (si fa per dire) del primo mese, ed entrambi abbiamo deciso di ignorarli. In fondo, c'erano sentimento, passione e complicità. Ma questi non bastano, soprattutto quando si ragiona sulla distanza e si scommette sulla durabilità della storia d'amore. Si fanno progetti, senza una scadenza definita. Ci si promette cose che difficilmente diventeranno realtà e tutto diventa fumoso, aleatorio. Insomma, insopportabile.

Quando cercavo di darmi una spiegazione dei frequenti litigi (quasi uno al giorno), pensavo ai nostri caratteri forti, alle differenti esperienze, alle condizioni di vita molto lontane. E qui mi sbagliavo. Perché il fattore principale che mi ha portata a scontri quotidiani e alla conseguenza di non sopportarlo è un altro. In pratica, lui prendeva le decisioni, metteva dei paletti, poi mi spiegava i motivi ed io ero quella che doveva capire. Ok, posso capire, ma questo non vuol dire che dopo che ho capito ho accettato. Certe cose non mi stanno comunque bene. Per capire e accettare le decisioni di un uomo, una donna si deve quasi annullare. E come faccio con il carattere forte che mi ritrovo? Come faccio, io malata di controllo, a non avere la situazione sotto controllo? Non faccio. Non vivo. 

Il lato positivo della questione è che ci siamo separati in amicizia (almeno credo), con lacrime e dispiacere. Un taglio netto, dopo i tanti episodi di chiarimento per cercare di mettere una toppa qua e una toppa là. Alla fine che cosa mi rimane? Un ricordo mi ronza per la testa. Un momento in cui sapendo che stavo male per la mia gelosia, lui mi ha detto: "Lo so che ti ruga, ma io quella cosa la faccio lo stesso". La frase è indelebile nella mia memoria come un marchio a fuoco. Mi ha ferita, sapendo di ferirmi. Per una cazzata a cui non poteva assolutamente rinunciare (e che non gli perdonerò mai). Spero di ricordarmi questa affermazione quando cercherò di far funzionare per forza un rapporto che non funziona.

06 gennaio, 2014

Il fidanzato e la proposta strampalata

La coppia è scoppiata. Le cose non vanno bene tra lei (ex single senza figli) e lui (separato con tre figli). E tra un litigio e l'altro succede il patatrac: nella discussione con insulti vengono coinvolti i tre ragazzi di lui (gli insulti riguardano solo lui). In ogni caso si tratta di un fatto gravissimo e senza alcuna possibilità di rimediare. La figlia 17enne di lui non ci sta e dice: "Se la tua donna viene in casa, non vengo più a trovarti". Che cosa si fa? Ci si lascia, ovviamente. Ma lui non è per la soluzione drastica. Non si possono ignorare i sentimenti che sono molto forti. Insomma, c'è comunque un grande amore tra i due. Allora lui cerca una scappatoia per sistemare le cose, proponendo un aggiustamento fuori da ogni logica.

Primo: ognuno a casa sua. Di convivenza se ne parlerà quando i suoi ragazzi saranno più grandi, tra 2 o 3 anni o forse più. "Lasciamogli il tempo di uscire di casa".
Secondo: lui non potrà mai fare un figlio con la nuova compagna per non ferire i suoi kids. Quindi, lei se vuole, può andare alla banca del seme e fare l'inseminazione artificiale. Della serie: i due stanno insieme ma il figlio è soltanto della donna. 

Che aggiungere? Proprio una bella coppia. Da dividere immediatamente e senza ombra di dubbio. Perché come canta Alessadra Amoruso: "L'amore non (mi) basta".